Il portale dell'Universo Sconosciuto: Scienza & Mistero
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13/02/23

 

Sono poche le figure storiche famose come Alessandro III di Macedonia, comunemente noto come Alessandro Magno, che divenne re dell'antico regno di Macedonia nel 336 a.C. all'età di 20 anni e creò uno dei più grandi imperi dell'antichità, che si estendeva dalla Grecia all'India nord-occidentale. 

Le sue imprese e le sue conquiste sono state descritte da una moltitudine di scrittori al punto da farlo diventare una figura quasi leggendaria. Tra le tante storie che lo riguardano ce ne sono due che sembrano narrare incontri con oggetti volanti che oggi definiremmo UFO.

Il primo episodio sarebbe avvenuto nel 329 a.C., durante una campagna militare in Asia centrale; al calare della notte, mentre l'esercito di Alessandro Magno stava tentando di attraversare il fiume Iaxartes, oggi noto come Syr Darya, sarebbero comparsi "due grandi scudi d'argento, che sputavano fuoco intorno ai bordi" che avrebbero spaventato gli elefanti dei nemici, i cavalli dei macedoni e gli uomini di entrambi gli eserciti al punto da costringere gli eserciti alla ritirata ed a rimandare l'operazione al giorno successivo.

La fonte originale del racconto è lo storico macedone Aleksander Donski che lo ha riportato al famoso ricercatore e scrittore di UFO Frank Edwards che ha descritto l'episodio nel suo libro Stranger than Science (Più strano della scienza).

Quanto ci può essere di vero in questo racconto? Ben poco, lo storico Spencer McDaniel ha scritto: Edwards non cita alcuna fonte per nessuna di queste affermazioni ed è improbabile che ne abbia mai avute. La sua affermazione che l'esercito di Alessandro avrebbe visto "grandi scudi argentei splendenti" non trova riscontro alcuno in nessuna antica fonte storica e molto probabilmente è completamente inventata. Le fonti antiche sulle campagne di Alessandro menzionano sì gli "scudi d'argento", ma non in un contesto che potrebbe far pensare agli UFO. 



Un secondo episodio, risalente più o meno allo stesso periodo, è stato riportato dall'ufologo italiano Alberto Fenoglio, e sarebbe accaduto nel 332 a.C., nel bel mezzo dell'assedio di Tiro, durante la campagna contro i Persiani. 

Il racconto recita: "La fortezza non cedeva, le sue mura erano alte cinquanta piedi e costruite così solidamente che le armi degli assedianti non erano in grado di danneggiarle. Gli abitanti di Tiro disponevano dei più grandi tecnici e costruttori di macchine da guerra dell'epoca e intercettavano in aria le frecce incendiarie e i proiettili scagliati dalle catapulte sulla città. Un giorno, improvvisamente, apparvero sopra l'accampamento macedone questi 'scudi volanti', come erano stati chiamati, che volavano in formazione triangolare guidati da uno scudo molto grande, mentre gli altri erano più piccoli di quasi la metà. In tutto erano cinque. L'ignoto cronista narra che essi volteggiavano lentamente sopra Tiro, mentre migliaia di guerrieri di entrambe le fazioni stavano a guardarli con stupore. Improvvisamente dallo "scudo" più grande partì un lampo che colpì le mura, queste si sgretolarono, seguirono altri lampi e mura e torri si dissolsero, come se fossero state costruite di fango, lasciando la strada aperta agli assedianti che si riversarono come una valanga attraverso le brecce. Gli 'scudi volanti' si librarono sopra la città fino a quando non fu completamente presa d'assalto, poi scomparvero molto rapidamente, dissolvendosi presto nel cielo blu." 

Anche in questo caso non ci sono fonti antiche conosciute per questo resoconto, per cui c'è da chiedersi quanto possa essere veritiero. 

Ancora una volta, McDaniel fa un'analisi precisa del caso e dice: "L'unico passaggio antico che assomiglia anche solo vagamente a ciò che Fenoglio descrive si trova nelle Storie di Alessandro Magno 4.3.25-26 di Quinto Curzio Rufo. Scrive Curzio: "In effetti, [i Tiri] riscaldavano con molto fuoco scudi di bronzo che, riempiti di sabbia riscaldata e di terra bollente, lanciavano improvvisamente dalle mura della città. E nessuna piaga era più temuta di questa; infatti, quando la sabbia rovente penetrava tra la corazza e il corpo, nessun uomo riusciva a liberarsene e, tutto ciò che toccava, bruciava. E [i soldati], gettando via le armi e facendo a pezzi tutto ciò che poteva proteggerli, si esponevano alle armi nemiche, incapaci di reagire." 

Prosegue McDaniel: "Suppongo che questo passo menzioni tecnicamente gli scudi volanti durante l'assedio di Tiro, ma gli scudi sono scudi reali, letterali, fatti di bronzo e 'volano' solo perché gli abitanti di Tiro li lanciano contro i soldati di Alessandro dalle mura della città." 

L'assoluta mancanza di fonti storiche, e più in generale di qualsiasi evidenza o riscontro concreto, porta a pensare si tratti di un'invenzione o di un'interpretazione molto libera e distorta degli eventi storici;nonostante questo però la storia di Alessandro Magno e dei suoi UFO si è consolidata negli anni, e di tanto in tanto fa capolino nelle discussioni sugli avvistamenti di UFO nell'antichità (clipeologia). 

Fonte: Mysterious Universe


10/02/17

Il cranio dell'uro con il presunto foro di proiettile

Chi sparava ai bisonti 40.000 anni fa ?
E’ la domanda che si sono posti alcuni ricercatori russi analizzando i resti di un bisonte preistorico, un uro per la precisione, originario della Yakuzia, una regione della Siberia orientale, dove ha vissuto circa 40.000 anni fa.
Secondo i ricercatori infatti, il cranio del bisonte presenterebbe un foro circolare perfettamente compatibile con un colpo di arma da fuoco.
Il cranio dell'uro è esposto presso il Museo di Paleontologia di Mosca. 
Sul cranio si può notare un foro perfettamente circolare, compatibile con l'impatto di un oggetto lanciato ad alta velocità.


I ricercatori ritengono che, anche se non ne hanno mai trovato i resti, il foro nel cranio sia stato causato da un proiettile di calibro simile a quelli che si usano oggi. 
Inoltre l’animale sarebbe sopravvissuto alla brutta esperienza come testimoniano le tracce di calcificazione intorno al foro.
Questa ultima circostanza escluderebbe la possibilità che il foro sia stato creato accidentalmente oppure ad arte in tempi moderni, o comunque successivi alla morte dell'animale.
Ma, tornando alla domanda iniziale, chi, o cosa, avrebbe potuto sparare ad un bisonte preistorico 40.000 anni fa ?
Extraterrestri in visita sul nostro pianeta ?
Una antichissima e progredita civiltà umana antidiluviana della quale si è persa ogni traccia ?
In realtà la causa potrebbe essere molto più prosaica: altri paleontologi infatti hanno suggerito che il foro sarebbe stato causato da una particolare patologia del tessuto molle che avrebbe intaccato l’osso del cranio, lasciando appunto una ferita circolare di questo tipo.

01/04/16

Il misterioso monolite fotografato dalla sonda New Horizons su Plutone

Hanno esaminato le foto per settimane, hanno eseguito tutte le analisi possibili, vagliato tutte le ipotesi disponibili, ma alla fine gli astronomi del Jet Propulsion Laboratory (JPL) del California Institute of Technology di Pasdena si sono dovuti arrendere all'evidenza: l'oggetto che la sonda New Horizon ha fotografato sulla superficie di Plutone risulta senza ombra di dubbio essere un monolite di origine artificiale. Troppo squadrati gli spigoli, troppo regolare la forma da far pensare che sia impossibile che si tratti di una roccia forgiata in modo peculiare dagli agenti cosmici. E poi, a rendere se possibile tutto ancora più complicato, ci sono anche gli strani segni sulla superficie levigata che, in base da quello che è emerso dagli ingrandimenti, ricordano da molto vicino la scrittura cuneiforme propria degli antichi Sumeri.
Date le implicazioni del caso, prima di diffondere la notizia, gli scienziati hanno eseguito tutte le verifiche per scongiurare possibili errori di interpretazione dei dati e per escludere eventuali difetti della sofisticata strumentazione in dotazione alla sonda New Horizon.
Le foto che mostrano il misterioso oggetto sono state scattate dalla sonda New Horizons durante il fliby del 14 luglio 2015 da una distanza di poco più di 12.000 km e da queste sono stati ricavati alcuni ingrandimenti che mostrano una misteriosa serie di caratteri cuneiformi incisi sulla superficie del monolite.
Per il momento è stata resa pubblica una sola unica foto che riportiamo in cima all'articolo. Il misterioso oggetto si troverebbe nella zona denominata Cthulhu Regio.

Particolare della zona Cthulhu Regio di Plutone

In base a complessi calcoli trigonometrici, le dimensioni del monolite sarebbero davvero impressionanti: 2.000 metri di altezza per circa 800 metri di larghezza.
Inoltre l'analisi spettroscopica eseguita dal Ralph/Multispectral Visible Imaging Camera (MVIC) a bordo della sonda, suggerisce che l'età sarebbe di circa 500.000 anni !
Come anticipato, le caratteristiche del monolite risultano troppo regolari per non pensare ad una origine artificiale. A tale proposito i ricercatori hanno addirittura affermato che: "la probabilità che questa struttura sia di origine naturale è pari a quella che una scimmia, alla quale abbiamo dato un gessetto ed una lavagna, disegni del tutto casualmente il teorema di Pitagora".
Ovviamente è ancora troppo presto per formulare qualsiasi ipotesi sull'origine e sullo scopo del misterioso monolite o su chi siano i suoi creatori, tuttavia la sua presenza su un corpo celeste alla periferia del Sistema Solare ed i caratteri cuneiformi identificati sulla sua superficie non possono non far pensare alle leggende su Nibiru e gli Annunaki...
Per chi volesse approfondire l'argomento, può trovare la notizia completa a questo indirizzo.

02/10/15

Marshenge, la Stonehenge di Marte

I cacciatori di UFO sostengono di aver fatto la scoperta più clamorosa di tutti i tempi su Marte, dopo aver individuato una "versione di Stonehenge" sul Pianeta Rosso.
A dispetto di tutti gli elementi di prova forniti dalla NASA, i cospirazionisti insistono che sul pianeta rosso è esistita in passato un'antica civiltà che è stata spazzata via da una guerra nucleare.
"Marshenge", come è stata prontamente battezzata questa ipotetica struttura, è solo l'ultima di una serie di cosiddette scoperte che annoverano strutture piramidali, “antiche statue” ed altre rovine di vario genere e che i ricercatori di alieni sostengono di aver individuato nelle immagini della superficie marziana scattate dalle sonde della NASA a partire dagli anni settanta.
Nessuna di queste scoperte però li ha entusiasmati più di questa nuova "struttura monolitica".
Infatti Scott C. Waring, autore del blog “UFO Sightings Daily”, afferma: "Si tratta di qualcosa di straordinario. E’ formato da due cerchi di pietre con un quadrato al centro."

Marshenge

Stonehenge

Egli ha anche affermato di aver scoperto strutture simili in altre immagini della NASA: "sono sempre a forma di cerchio, a volte sono formate da grandi rocce, a volte da rocce più piccole, ma sorgono sempre su piccole colline".
Da parte sua invece, lo youtuber Mister Enigma ha definito questa scoperta “pazzesca”.
In un video su Marshenge, pubblicato su YouTube, egli ha definito questa struttura: "una piattaforma perfettamente circolare con uno strano gruppo di pietre che emergono da essa".
"Sembra stranamente simile al sito che qui sulla Terra si trova a Amesbury, nel Wiltshire, noto come Stonehenge”, ha aggiunto.


Queste le dichiarazioni sensazionalistiche dei “cacciatori di alieni”. 
In realtà si tratta dell'immagine di alcune formazioni rocciose riprese sul pianeta rosso da HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment), la fotocamera installata a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter. La foto non è proprio recentissima poiché risale al 24 settembre del 2012 e solo recentemente è diventata famosa dopo la pubblicazione sul canale YouTube di Mister Enigma e sul blog di Scott C. Waring, che, a onor della cronaca, non sono esattamente il massimo dell'affidabilità.
L'immagine originale, catturata nella zona di Nilosyrtis Mensae, mostra una zona di rocce sedimentarie con processi di stratificazione. Inserita in questo contesto c'è effettivamente una formazione rocciosa che si scorge dall'alto, sopra un promontorio dalla forma circolare.

L'immagine originale, frame ESP_036684_2085

Come si può notare, si tratta di una formazione veramente curiosa.
Di seguito si può vedere l'estratto dell’immagine della zona in questione, come appare senza essere ingrandita e migliorata nel contrasto.

L'immagine originale in scala di grigi

Per dimostrare la sua presunta origine artificiale, Waring ha provato a sostenere che le pietre sono messe in una posizione non casuale, disegnando un quadrato dentro un cerchio. In realtà il disegno è una forzatura, dato che i punti di riferimento non sono univoci.

La disposizione delle pietre secondo Scott Waring

In definitiva, oltre a prendere in considerazione il classico fenomeno della pareidolia, si deve tenere conto che tali cerchi di pietra possano formarsi anche a causa di processi naturali, simili a quelli osservati anche qui sulla Terra, come il ciclo di congelamento-scongelamento del permafrost, capace di posizionare le pietre in configurazioni circolari e poligonali sui pendii più bassi.

12/05/15

La piramide di Snefru nel Dashur

Secondo quanto raccontato da Jean Pierre Jorde, un ricercatore sui fenomeni UFO, nel 1978 forze egiziane e israeliane si sarebbero scontrate per il possesso di un disco volante alieno sepolto nel deserto. La notizia sarebbe stata riportata anche dal quotidiano californiano "La Nación" ed anche da altre testate che avrebbero dato visibilità mondiale alla vicenda.
La piramide di Snefru, nel Dashur, non era stata studiata a fondo poiché si trovava in una ristretta area militare top secret. Tuttavia, nell’ambito della politica di cooperazione tra i governi egiziano e israeliano, il presidente Anwar al-Sadat, in uno scatto di generosità, aveva permesso ad un gruppo di archeologi israeliani di scavare a nord della piramide di Snefru.
A metà del Febbraio 1978, quando gli archeologi avevano raggiunto i 15 metri di profondità, trovarono sepolto un disco di circa 120 cm di diametro appoggiato su un treppiede, il cui spessore aumentava avvicinandosi al centro, e che in totale raggiungeva l’altezza di 3 metri. La sua superficie era liscia ed il materiale metallico lucido del quale era composto sembrava non essere rovinato dal tempo. All’interno della grotta che lo conteneva non furono trovati idoli o strumenti degli antichi egizi, ma tavole e apparecchiature elettroniche in perfette condizioni.
Data l'entità della scoperta, i ricercatori, dopo aver scattato numerose foto, coprirono l’oggetto con un telo e proseguirono gli scavi in attesa di istruzioni.
Le foto arrivarono al Ministero della Difesa israeliano che fece riunire un consiglio militare segreto, che decise che l’oggetto doveva essere recuperato e portato nel paese. A tale scopo fu organizzata l'operazione "Entebbe": un commando di militari scelti si sarebbe infiltrato di nascosto in territorio egiziano ed avrebbe raggiunto il sito del dispositivo.

Una foto scattata al termine della vera Operazione Entebbe in Uganda

L’operazione, pianificata in tutta fretta, si sarebbe svolta il primo marzo e avrebbe previsto anche l’uso della forza se necessario. All’operazione parteciparono tre aerei da trasporto Hércules C-130 E che trasportavano un ospedale da campo, quattro jeep e cento soldati. Fu utilizzato inoltre un Hércules C-130 H che trasportava un camion in grado di caricare la preziosa merce. Infine, per coprire l'area e garantire il successo, partecipò all'operazione anche uno squadrone di aerei F4.
Alle 13:00 gli aerei arrivarono come previsto nella zona degli scavi. Gli egiziani a loro volta, sospettando che stesse accadendo qualcosa di importante, pur senza comprendere appieno l’importanza dell’operazione, avevano inviato nella zona un piccolo contingente.
Le truppe egiziane, che non si aspettavano una simile reazione, furono attaccate da colpi di mortaio. La superiorità delle armi israeliane e la preparazione delle truppe d’élite fecero sì che gli israeliani avessero ben presto il sopravvento su un nemico che li sopravanzava di numero poiché nel frattempo gli egiziani avevano chiamato dei rinforzi.
Quando il convoglio fu in grado di abbandonare la zona, con 15 minuti di ritardo su quanto previsto, erano rimasti sul campo di fronte alla piramide di Snefru 11 membri del commando israeliano ed un numero imprecisato di soldati egiziani.
Il convoglio continuò il suo viaggio continuando a subire attacchi, all’alba c'erano ancora 800 chilometri di deserto da attraversare ed il carburante iniziava a scarseggiare. Dovette intervenire un quinto Hércules che portò rifornimenti e pezzi di ricambio consentendo al convoglio di giungere a destinazione.

Hércules C-130

Alla fine, sempre secondo il racconto di Jorde, le perdite da entrambe le parti furono ingenti e il narratore si chiede se un UFO sepolto da migliaia di anni sotto la sabbia del deserto, costruito con una tecnologia superiore alla nostra, possa giustificare un simile spargimento di sangue.
Sempre secondo Jorde gli israeliani sostenevano che occorreva mantenere il segreto sull’oggetto e sul suo contenuto poiché con quella tecnologia avrebbero sviluppato armi di straordinaria potenza e si sarebbero avvantaggiati dal punto di vista tecnologico.
Fonte: SIPSE

Nota: l’intera storia sembra la trama di un film di fantascienza di serie B e già questo fa pensare ad una bufala, tuttavia esaminando brevemente il racconto emergono molte incongruenze e dettagli davvero inverosimili.
Anzitutto le dimensioni del disco sono veramente assurde: 120 cm di diametro ed un’altezza di 3 metri, anche ammettendo che questa comprenda il treppiede, più che un disco sarebbe un fuso. In secondo luogo, appare davvero inverosimile che uno scenario di guerra con diverse decine di morti ed impiego di aerei sia passato del tutto inosservato per poi cadere nel dimenticatoio.
Inoltre una crisi di questo tipo avrebbe compromesso irrimediabilmente i rapporti tra i due paesi, mentre nella realtà nel settembre 1978 furono siglati gli accordi di Camp David.
Infine è abbastanza sospetto il nome stesso dell’operazione: Entebbe.
L’Operazione Entebbe ha avuto effettivamente luogo ed è stata condotta dalle forze armate israeliane allo scopo di liberare gli ostaggi di un dirottamento aereo eseguito da terroristi palestinesi. Si è svolta nella notte tra il 3 luglio ed il 4 luglio 1976 nell’aeroporto dell’omonima città ugandese ed ovviamente non ha nulla a che fare, sia dal punto di vista temporale che geografico, con gli ipotetici scontri per l’UFO. In questa operazione le forze armate israeliane utilizzarono per l’appunto quattro aerei Hércules C-130.

L'operazione Entebbe nei titoli di un giornale dell'epoca

E’ chiaro che in questo racconto, come spesso accade, sono stati aggiunti dettagli reali in una storia completamente inventata, che non presenta alcuna prova documentata ed oltretutto proviene da un’unica fonte.
Si può pertanto concludere che l’intera vicenda può benissimo essere liquidata come una bufala.

01/04/15

Il particolare del dipinto "La Tebaide" che raffigurerebbe un UFO

Con il termine clipeologia si definisce una branca dell'ufologia, che si occupa di presunti contatti con oggetti volanti non identificati che si sarebbero verificati nel passato, sia storico che preistorico.
In questo contesto si colloca lo studio di un'opera pittorica rinascimentale dell'artista fiorentino Paolo Di Dono, meglio noto come Paolo Uccello (Firenze 1397-1475), nella quale sarebbe raffigurato un oggetto discoidale sospeso nell'aria sormontato da una cupola centrale, in altre parole: un UFO.
Il dipinto, intitolato "Scene di vita eremitica" e conosciuto anche come "La Tebaide", rappresenta diverse scene di vita monastica: in basso a sinistra la Vergine appare a San Bernardo; sopra un gruppo di monaci si flagellano davanti al crocifisso; al centro, in una grande grotta, è raffigurato San Gerolamo in preghiera davanti a un altro crocifisso, mentre in alto san Francesco inginocchiato riceve le stimmate. Nella zona in basso a destra dovrebbe essere raffigurata la predicazione di San Romualdo.

Il dipinto "Scene di vita eremitica", conosciuto anche come "La Tebaide"

Come anticipato, secondo certe ipotesi ufologiche l'oggetto rosso nella grotta al centro, a destra della croce, sarebbe un disco volante. Si tratterebbe di un oggetto di forma discoidale, con tanto di cupola, di color rosso dipinto su un fondo scuro. Inoltre, sempre secondo queste ipotesi,  sarebbe chiaramente visibile l’effetto del movimento dato dall’artista con piccole pennellate di colore che fornirebbe proprio l’impressione che esso compia una repentina virata caratteristica dei dischi volanti o UFO. L'artista quattrocentesco avrebbe dunque dipinto scie semicircolari per indicare una virata, nello stesso modo in cui il movimento viene rappresentato oggi nei fumetti. Inoltre Paolo Uccello avrebbe usato il colore rosso per descrivere l'incandescenza dell'oggetto volante.
Altri ufologi, pur ammettendo che quell'oggetto possa essere quello che sembra, ovvero un copricapo da cardinale, si chiedono perché mai l'artista avrebbe dovuto collocare sul Golgota un cappello con una "strana scia".
A questo punto non resta che osservare meglio il "particolare anomalo ". L'ingrandimento pubblicato in tanti siti web mostra un fondo scuro e quasi uniforme, invece se si osserva una riproduzione migliore si vede che il personaggio inginocchiato si trova dentro a una grotta e che lo "strano oggetto" è appoggiato in terra sotto il crocifisso, ed è molto più piccolo dell'animale che appare nella scena.

Il particolare della Tebaide riguardante San Gerolamo

Con un minimo di conoscenza di storia dell'arte si potrà riconoscere in quell'oggetto un cappello da cardinale (si vedono benissimo i cordoni con i fiocchi), infatti il personaggio inginocchiato è San Gerolamo (o Girolamo) che, si racconta, divenne eremita dopo aver rinunciato alla carica ecclesiastica.


Nel capitolo su San Gerolamo del "Dizionario dei soggetti e dei simboli nell'arte" di James Hall si legge: “La sua iconografia diventa molto comune soprattutto tra il XV e il XVII secolo. Egli è raffigurato anziano, con la barba e i capelli bianchi, con accanto il cappello cardinalizio; è accompagnato dal leone al quale secondo il racconto popolare il santo ha estratto una spina dalla zampa. Oltre a specifici momenti della sua vita,  la sua figura è riconducibile soprattutto a tre tipologie. Come penitente vestito di pelli o cenci, è inginocchiato davanti a un crocifisso e si batte il petto con un sasso; accanto a lui possono esserci la clessidra e il teschio, simboli del tempo che fugge e conduce alla morte. Come erudito siede nel suo studio, intento a scrivere o leggere, circondato dagli strumenti del sapere. Come dottore della Chiesa è invece raffigurato in piedi, con il vestito rosso da cardinale, titolo che all’epoca in realtà non esisteva ma che gli è attribuito in ricordo del suo lavoro presso il papa”.
Ecco la stessa scena nella versione di Pietro Vannucci, detto il Perugino.

San Gerolamo nel dipinto del Perugino
 
Questa invece è la versione di Albrecht Bouts:

San Gerolamo nella versione di Albrecht Bouts

La scena rappresentata, con il santo che si percuote il petto con una pietra, non si svolge sul Golgota (la collina dove secondo i vangeli avvenne la crocifissione), ma più semplicemente davanti ad un crocifisso di legno. Il leone vicino al santo ricorda la leggenda secondo la quale Gerolamo avrebbe salvato e addomesticato la belva togliendole una spina da una zampa. Ma il leone è anche il simbolo dell'evangelista San Marco e della Repubblica di Venezia, infatti si raccontava che San Gerolamo fosse nato in Dalmazia.
Infine, secondo quanto pubblicato nel numero 94 del settembre 1992 della rivista d’arte FMR, il primo a diffondere una vita di San Gerolamo fu Giovanni di Andrea di Bologna (1348 circa). In questa biografia la verità storica fu arricchita da notazioni leggendarie. Lo stesso autore darà pure istruzioni agli artisti per l'iconografia del santo, che diverranno canoniche: "Cum capello, quo nun cardinales utuntur, deposito, et leone mansueto" (tradotto dal latino: Col cappello, del tipo che tuttora portano i cardinali, deposto a terra, e col leone mansueto). Il cappello in questione è presente in moltissime rappresentazioni del santo ma in realtà non gli appartiene dato che Gerolamo non fu mai cardinale, proprio come non incontrò mai il leone ferito. Tuttavia queste storie sono rimaste impresse nella tradizione e nell’immaginario collettivo, pertanto esistono moltissime illustrazioni che raffigurano il santo con il tipico cappello rosso.
In conclusione: nel dipinto di Paolo Uccello chiamato "La Tebaide" non ci sono UFO. Quell'oggetto rosso vicino all'uomo in preghiera è il cappello da cardinale di San Gerolamo.

Fonte: Diego Cuoghi su Ceifan
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24/01/15

Il sigillo accadico VA/243 custodito al Museo di Berlino

Nel suo best-seller "Il Dodicesimo Pianeta", pubblicato per la prima volta in Italia nel 1976 ed in seguito nel 1998 con il titolo "Il Pianeta degli Dei", lo scrittore azero Zecharia Sitchin inizia la trattazione della parte astronomica delle sue teorie su Nibiru e gli Anunnaki illustrando un sigillo accadico di 4500 anni fa, custodito al museo di Berlino, ed etichettato con la sigla VA/243. In esso si osservano alcune divinità ed uno strano emblema raffigurante quello che, in apparenza, sembra essere un sistema solare: una stella a sei punte circondata da dodici globi.
Secondo Sitchin, l’emblema raffigurerebbe il nostro Sistema Solare: il Sole sarebbe la stella centrale, mentre i globi che lo circondano sarebbero pianeti. Poiché tali globi sono 11, e dato che i Sumeri consideravano pianeta anche il Sole, Sitchin dedusse che il nostro sistema è composto da altrettanti corpi principali. Anche la Luna era considerata un pianeta dagli antichi sumeri, così si potrebbe dire che i corpi planetari veri e propri ivi raffigurati sono dieci, anziché i nove conosciuti prima che Plutone fosse declassato dal suo status di pianeta. Si osservi che già la questione di Plutone potrebbe cominciare a sollevare qualche dubbio su questa interpretazione.
Dunque, lo studioso azero ipotizzò che i pianeti fossero raffigurati disposti in circolo attorno al Sole, dal più vicino al più lontano da esso, a partire da un punto (origine) di tale disposizione circolare. Sitchin ritenne di aver identificato sia tale punto di partenza che il verso di percorrenza del cerchio. Nel suo best-seller, egli riporta il tutto in una fedele rappresentazione di quella porzione del sigillo VA/243: 

Il Sistema Solare raffigurato nel sigillo VA/243

Lo scrittore aggiunge inoltre anche un’altra raffigurazione del Sistema Solare opportunamente adattata ad una rappresentazione del genere:

Il Sistema Solare nel sigillo secondo l’interpretazione di Sitchin

Come si può notare, tra i presunti Marte e Giove del sigillo compare un pianeta in più, indicato con la lettera F nella prima figura. Secondo Sitchin questo sarebbe proprio il decimo,  o dodicesimo secondo il criterio seguito dai Sumeri, pianeta del Sistema Solare: Nibiru, "il pianeta degli dei".
Sitchin osserva l’esattezza della rappresentazione del sistema Terra-Luna (D-C nella prima figura) nel disegno del sigillo, in quanto il nostro satellite è graficamente accostato al globo che raffigura la Terra, segno che i due globi formano un sistema legato. Tuttavi la medesima configurazione "accostata" la si riscontra anche nel caso dei globi rappresentativi di Mercurio (A) e di Venere (B), che come è noto, sono due pianeti distinti, ognuno orbitante attorno al Sole per proprio conto, che non costituiscono assolutamente un sistema pianeta-satellite. Inoltre, il dischetto raffigurante Mercurio è più grande di quello di Venere, mentre nella realtà Venere ha dimensioni molto maggiori di quelle di Mercurio.
Riguardo Giove e Saturno (lettere G ed H), nonostante si tratti dei due globi più grandi tra quelli della raffigurazione, in accordo con il fatto che essi sono effettivamente i pianeti più grandi del Sistema Solare, le loro dimensioni non sono affatto in proporzione con quelle degli altri "pianeti" del sigillo, a differenza della seconda raffigurazione, dove le proporzioni invece sono rispettate. Inoltre è davvero molto strano che per Saturno non sia stato rappresentato anche il suo imponente sistema di anelli che ne costituisce la caratteristica principale.
Le lettere L ed M raffigurerebbero rispettivamente Urano e Nettuno, tuttavia anche in questo caso vi sono alcune imprecisioni: Urano è disegnato lievemente più piccolo di Nettuno, mentre nella realtà è l’esatto contrario.
Si consideri infine il piccolo corpo celeste indicato dalla lettera I: secondo Sitchin si tratterebbe di Plutone, un tempo non collocato sull’orbita che conosciamo oggi, altrimenti il dischetto I andrebbe disposto dopo l’M di Nettuno. Anche in questo caso, le dimensioni del dischetto non sono rapportate correttamente alle altre, poiché dovrebbe essere più piccolo di come è stato raffigurato. Infatti il diametro di Plutone ammonta a 2/3 di quello lunare, quindi dovrebbe essere 2/3 di C.
In base alle interpretazioni di alcuni passaggi dell’Enuma-Elish, Sitchin deduce che Plutone (chiamato Gaga nell’antico testo) un tempo era un satellite di Saturno, che poi fu scagliato nella sua orbita attuale dal passaggio di Nibiru/Marduk. In questo caso però, al pari del sistema Terra-Luna, non sarebbe stato più logico che il presunto Plutone fosse disposto accanto a Saturno?
In definitiva, l’ipotesi che il sigillo raffiguri il nostro sistema solare presenta davvero molte lacune ed incongruenze per essere considerata plausibile.

Fonte: CEIFAN

12/01/15

Nibiru, l'ipotetico pianeta degli Anunnaki

Sulla base di antichi scritti e sigilli sumerici, lo scrittore Zecharia Sitchin ha elaborato una teoria secondo la quale esseri provenienti da un altro mondo, gli Anunnaki (o Nefilim), visitarono la Terra in un remoto passato, intervenendo geneticamente sugli ominidi dell’epoca ed accelerandone la naturale evoluzione verso lo stato di homo sapiens sapiens.
Secondo le antiche tavole, essi “crearono l’uomo a propria immagine e somiglianza”: questo implica che gli Anunnaki fossero esseri antropomorfi e quindi molto simili, se non proprio uguali, all’uomo. Inoltre, poiché vissero apertamente nel nostro ambiente, è ovvio che questo si confaceva loro: atmosfera, gravità, livello di illuminazione, temperatura e pressione atmosferica erano idonee alla loro fisiologia, pertanto anche il loro pianeta doveva presentare caratteristiche chimico-fisiche molto simili. Questo pianeta era chiamato Nibiru dai sumeri e Marduk dai babilonesi, esso apparterrebbe al nostro Sistema Solare, ma la sua orbita risulterebbe assai diversa da quella classica degli altri pianeti conosciuti: fortemente ellittica, alquanto inclinata rispetto al piano dell’eclittica, e retrograda rispetto a quelle di tutti gli altri pianeti del Sistema Solare. La sua orbita sarebbe talmente allungata da portarlo ben oltre l’orbita di Plutone ed impiegherebbe 3600 anni per completare una rivoluzione completa attorno alla nostra stella.
Si è già visto in questo articolo come dal punto di vista astronomico sia da escludere l’esistenza di un pianeta con queste caratteristiche. Supponendo però per assurdo che esista, ci si chiede se un pianeta con un’orbita del genere, che lo spinge tanto lontano dal Sole, possa ospitare la vita.
A tale proposito si consideri che per la maggior parte dei 3600 anni di rivoluzione intorno al Sole Nibiru si troverebbe ben oltre l’orbita di Plutone, dove l’irraggiamento solare, che decresce con il quadrato della distanza dalla nostra stella è veramente ridotto.

La presunta orbita di Nibiru

Secondo le deduzioni di Zecharia Sitchin, Nibiru produrrebbe da sé il calore necessario alla sua popolazione, che verrebbe trattenuto per effetto serra dalla propria fitta coltre atmosferica. Tale energia termica sarebbe il risultato del decadimento radioattivo di taluni elementi presenti nelle viscere del pianeta. Sulla nostra Terra, il calore derivato da Uranio, Torio e Potassio 40 presenti nel nucleo produce la fusione delle rocce sotterranee, successivamente espulse dalle eruzioni vulcaniche.
Nel suo libro “La Genesi”, Sitchin rimarca come il nucleo di alcuni pianeti del Sistema Solare (Giove, Saturno e Nettuno, per l’esattezza) produca calore. Questo fenomeno è dovuto alla enorme pressione esercitata dalla massa di questi grandi corpi celesti sulle proprie regioni interne, pertanto le loro temperature superficiali risultano maggiori di quelle che si avrebbero qualora essi fossero riscaldati dalla sola luce solare.
Giove emette una energia pari a circa due volte e mezza quella ricevuta dal Sole, tuttavia la sua temperatura superficiale resta molto bassa, nell’ordine dei -90 °C. Per Saturno e Nettuno l’energia interna generata è ancora minore.
Comunque, anche ammettendo che Nibiru disponga di una sorgente di energia termica al proprio interno, non è questo un motivo sufficiente per ritenere possibile lo sviluppo e il sostentamento della vita sulla sua superficie, a parte forse forme di vita elementari quali virus e batteri, in grado di vivere in ambienti caratterizzati da condizioni del tutto proibitive per organismi appena più complessi.
Un altro elemento fondamentale per lo sviluppo della vita è costituito dalla luce che deve raggiungere la superficie con una certa intensità e deve essere abbastanza costante nel corso di una intera rivoluzione planetaria. Questo si traduce in un’orbita ubicata abbastanza vicina al Sole ed il meno possibile ellittica. Tenendo presente che, come accennato prima, l’intensità luminosa decresce con il quadrato della distanza dalla sorgente, si ha ad esempio che Giove riceve 1/25 della luce solare che arriva sulla Terra, Saturno ne riceve 1/100, Urano 1/400 e Nettuno 1/900.
Nel caso di Nibiru, nel giro di 1.800 anni si passerebbe da 1/8 della luce che raggiunge la Terra, quando il pianeta si trova al perielio, a 1/57000 quando si trova all’afelio e viceversa per gli altri 1800 anni restanti del suo periodo di rivoluzione. Il pianeta sarebbe pertanto immerso nell’oscurità per la quasi totalità dei suoi  3600 anni di periodo orbitale, oppure al massimo sarebbe fiocamente illuminato da una luce rossastra scura autoprodotta insieme al calore.
Come è noto il metabolismo vegetale trae energia proprio dalla luce solare e pertanto su questo pianeta non ci sarebbero affatto le condizioni ideali per lo sviluppo di una vegetazione lussureggiante. Tuttavia anche ammettendo l’esistenza di flora, questa dovrebbe essere talmente prodigiosa da adeguarsi a variazioni estreme di luce ogni 1800 anni, ed ovviamente ad esse dovrebbero adattarsi tutte le forme di vita animali del pianeta, se non altro per banali questioni di catena alimentare. E non si tratta di un problema da poco.

Fonte: CEIFAN

10/01/15

Il Sigillo VA 243 dove sarebbe rappresentato il Sistema Solare con Nibiru

Nibiru è un ipotetico pianeta del Sistema Solare la cui esistenza è stata postulata dallo scrittore Zecharia Sitchin sulla base delle sue interpretazioni degli antichi testi sumeri. Si tratterebbe di un pianeta gigante roccioso che impiega 3.600 anni per una rivoluzione intorno al Sole, e soprattutto sarebbe la patria di una razza aliena, gli Anunnaki, i quali avrebbero creato l’umanità mediante una sorta di mutazione genetica forzata e sarebbero quindi divenuti le prime divinità mesopotamiche.
Secondo l'interpretazione di Sitchin riguardo alcuni passi dell’Enuma-Elish, un poema in lingua accadica che tratta principalmente della creazione del mondo, questo pianeta era chiamato Nibiru dai sumeri e Marduk dai babilonesi, ed avrebbe rivestito un ruolo chiave nella ipotetica modificazione della struttura primigenia del Sistema Solare. Questo corpo celeste apparterrebbe al nostro Sistema Solare, ma la sua orbita risulterebbe assai diversa da quella classica degli altri pianeti conosciuti: fortemente ellittica, alquanto inclinata rispetto al piano dell’eclittica, e retrograda rispetto a quelle di tutti gli altri pianeti del Sistema, ossia Nibiru ruoterebbe intorno al Sole in senso opposto a quello di ogni altro pianeta.

Lo scrittore Zecharia Sitchin

In base ad altre interpretazioni, Nibiru sarebbe un pianeta “invasore” proveniente dallo spazio profondo e catturato dalla forza gravitazionale del Sole in un non ben specificato passato.
Secondo alcune teorie catastrofiste, proprio a causa di questa sua particolarissima orbita, il 21 dicembre 2012 Nibiru avrebbe incrociato l'orbita della Terra ed i suoi potenti poli magnetici avrebbero causato una catastrofe a livello globale con spaventosi terremoti, maremoti e tremende eruzioni vulcaniche. Da notare che questa storia si era unite alle presunte profezie dei Maya che per quella data vedevano la fine del loro calendario, il “Lungo computo” che sarebbe coincisa con la fine del mondo così come lo conosciamo.
Ovviamente è superfluo specificare che nel 2012 nulla di tutto questo si è verificato e di Nibiru non vi è stata alcuna traccia.

Un disegno del catastrofico passaggio di Nibiru vicino alla Terra

A prescindere dall’evidenza che se un pianeta di queste dimensioni fosse stato davvero in fase di avvicinamento al nostro pianeta se ne sarebbero avvertiti gli effetti gravitazionali già qualche centinaio di anni fa, è bene precisare che per l'astronomia l'esistenza di Nibiru è scientificamente impossibile, poiché la sola ipotesi della sua esistenza viola leggi astronomiche dimostrate.
Ad esempio, le orbite attuali dei pianeti "interni", Terra compresa, del sistema solare sono troppo stabili e non presentano anomalie, anche minime, in grado di supportare tale ipotesi. In base alle teorie di Sitchin, l'ipotetico pianeta dovrebbe avere una massa da 2 a 5 volte quella della Terra ed essere lontano dal Sole da 50 a 100 unità astronomiche.
Sino ad oggi nessun corpo celeste di tali dimensioni si è rivelato oltre l'orbita di Plutone, inoltre si è dimostrato che le perturbazioni sulle orbite dei pianeti esterni rilevate in passato, possono essere derivate in parte da errori di calcolo o da margini di imprecisione degli strumenti.
Le orbite planetarie sono perfettamente conosciute e soprattutto, molto stabili: non ci sono anomalie gravitazionali tali da giustificare la possibile presenza di un gigantesco oggetto celeste sconosciuto e per giunta con un’orbita così inclinata sul piano dell’eclittica. Tutte le piccolissime anomalie che si registrano sono perfettamente spiegabili con le attuali tecnologie e conoscenze e nulla fa supporre la presenza di altri pianeti.


È altresì evidente che gli asteroidi perturbati dall’incombente Nibiru non sarebbero solamente quelli collocati sulla sua traiettoria, ma anche gli altri posti ai lati di questi. Se, come si ritiene, Nibiru si muovesse su di un piano inclinato rispetto all’eclittica, tali pianetini abbandonerebbero il loro piano orbitale per dirigersi verso il gigante, e buona parte di questi, per inerzie varie, finirebbe con lo schivarlo.
Questi pianetini si troverebbero così ad orbitare su piani assai diversi dall’originale ed inclinati con varie angolazioni.
Questi passaggi ad intervalli di 3600 anni, reiterati nell’arco di milioni e milioni di anni dovrebbero aver generato una distribuzione di asteroidi su orbite variamente collocate sulla volta celeste ed aver praticamente smembrato, o quantomeno profondamente sconvolto, la fascia di asteroidi tra Marte e Giove.
Però il 95% degli oltre 341000 pianetini noti (dati di Settembre 2006) sono disposti ordinatamente intorno al Sole, su un medesimo piano orbitale, infatti non per nulla si parla di anello asteroidale, che costituisce la cosiddetta Fascia Principale.

La fascia degli asteroidi

Ve ne sono alcune centinaia che se ne discostano (gli Amor, gli Apollo, i Troiani), primariamente assumendo ellissi piuttosto allungate, o, come nel caso dei Troiani, muovendosi sulla stessa orbita di Giove; ma, in ciascun caso, il loro allontanamento dalla Fascia Principale è chiaramente da imputare alle influenze gravitazionali di Giove oppure agli urti tra gli asteroidi stessi. E, in effetti, la quasi totalità di essi si muove su piani orbitali di poco discostati da quello dell’anello principale (± 15°).
Se un pianeta invasore come Nibiru transitasse periodicamente tra Marte e Giove, di sassi spaziali ne avrebbe smossi e ne smuoverebbe infinitamente di più; e parecchi di questi finirebbero con lo spostarsi anch’essi su orbite retrograde. Si conoscono solo otto pianetini del genere: una percentuale irrisoria.
A questo punto, la conclusione è abbastanza scontata e qualsiasi astronomo o anche astrofilo con un minimo di conoscenze di meccanica celeste la sottoscriverebbe: non esiste alcun pianeta invasore.
Inoltre su un pianeta di questo tipo, che per la maggior parte del tempo orbita ad una distanza dal Sole maggiore di quella di Plutone, sarebbe molto difficile che si sviluppasse una sia pur semplice forma di vita a causa della prolungata mancanza di luce e di calore, anche ammesso che il suo nucleo produca energia termica.
Ovviamente quanto esposto non esclude a priori l’esistenza di corpi planetari fuori dalla norma nel Sistema Solare: può darsi che un pianeta con un’orbita ed un inclinazione orbitale atipica esista realmente, anche se al momento non ve ne è alcuna evidenza. Tuttavia in caso affermativo i parametri orbitali sarebbero alquanto diversi da quelli di Nibiru e non si potrebbe neppure affermare che Sitchin in realtà possa essersi riferito a tale oggetto perché sarebbe sostanzialmente molto diverso dalle sue descrizioni, proprio per la questione delle alterazioni della fascia degli asteroidi.
Senza considerare che in ogni caso sussisterebbero i medesimi problemi di abitabilità rilevati per Nibiru.

Fonte: CEIFAN

10/12/14

I dischi dei Dropa

I dischi dei Dropa, o dischi di Bayan Kara Ula, sono 716 reperti a forma di disco costituiti principalmente da granito ma con un’alta concentrazione di cobalto ed altri metalli e sulla cui superficie si presentano strane incisioni.
I dischi sarebbero stati scoperti da una spedizione archeologica, guidata dall'archeologo Karyl Robin-Evans, che nel 1947 li avrebbe rinvenuti in una caverna della regione montuosa di Bayan Kara Ula, al confine tra Cina e Tibet, insieme agli scheletri di una misteriosa ed antichissima popolazione che un tempo abitava la zona: i Dropa o Dzopa. Si trattava di esseri umani dalle caratteristiche davvero singolari: il corpo minuto e la testa sproporzionatamente grande.


Robin-Evans entrò in contatto con i discendenti di questa enigmatica tribù che gli spiegarono che i Dzopa erano i superstiti di una razza di esseri extraterrestri la cui astronave si era schiantata in quella zona circa 12.000 anni fa. I simboli incisi sui 716 dischi rappresenterebbero la storia di questi extraterrestri bloccati per sempre nelle montagne del Tibet, non solo: alcuni dischi, una volta esaminati dagli scienziati, avrebbero presentato caratteristiche molto particolari, quali la concentrazione piuttosto alta di cobalto ed altri metalli. Uno scienziato sovietico, il dottor Viatcheslav Saizev, avrebbe dichiarato che, una volta sistemati i dischi su un dispositivo simile ad un grammofono, essi "vibravano" come se una carica elettrica vi fosse passata attraverso oppure come se "essi facessero parte di un circuito elettrico".

Foto di due presunti dischi Bayan Kara Ula come vengono anche chiamati

La storia della spedizione e del misterioso ritrovamento dei dischi è narrata dallo scrittore David Agamon nel libro “Sungods in Exile” pubblicato nel 1978 e che dice di rifarsi direttamente agli appunti di Robin-Evans. Questo libro è l’unica fonte che parla di questa storia e già questo particolare dovrebbe far riflettere su tutta la vicenda.

Altra foto di un disco dei Dropa

La verità emerse infatti nel 1995, quando l’autore britannico David Gamon confessò alla rivista Fortean Times di aver scritto “Sungods in Exile” come burla sotto lo pseudonimo di Agamon, ispirato dalla popolarità di Erich von Daniken e del suo libro sugli antichi astronauti. Gamon riferì che il materiale per la storia era stato ripreso da un articolo di una rivista degli anni ’60, il Russian Digest, e da una novella francese del 1973, “I dischi di Biem-Kara”, scritta da Daniel Piret.
Questa rivelazione non impedì però ad Hartwig Hausdorf  di scrivere il libro “The Chinese Roswell” nel 1998, dove introduceva la figura del professor Tsum Um Nui, della Beijing Academy, che avrebbe tradotto i simboli incisi sui dischi di pietra. Ovviamente il professore non esiste ed inoltre Tsum Um Nui non è un cognome cinese, bensì giapponese e scritto anche in maniera ortograficamente scorretta. Allo stesso modo, i dischi di pietra non esistono:  nessuno dei musei dove secondo i due libri sarebbero conservati i dischi ha mai avuto, nè tantomeno conosciuto, un disco dei Dropa.
Le foto che ritraggono i fantomatici dischi in realtà sono foto di oggetti, questa volta autentici, chiamati Bi. Si tratta di antichi manufatti di giada dell’antica Cina a forma di disco, utilizzati per scopi cerimoniali, i più antichi di essi risalgono al neolitico.

I dischi Bi di giada dell'antica Cina

05/12/14

La costellazione delle Pleiadi

Nel 1920 un losco avventuriero americano di nome John Spencer avrebbe rinvenuto in una cripta sotterranea nei pressi del monastero buddista a Tuerin, in Mongolia, il corpo perfettamente conservato di una creatura extraterrestre proveniente da un lontanissimo pianeta situato nella costellazione delle Pleiadi. L'uomo avrebbe parlato della straordinaria scoperta della mummia aliena ad un altro americano, un viaggiatore di nome William Thompson, che in seguito avrebbe divulgato la notizia.
La storia è stata ampiamente riportata da Peter Kolosimo nel suo famoso libro "Non è terrestre" edito da SugarCo nel 1968.
John Spencer era un uomo dedito ad attività poco lecite che nel 1920 era giunto in Mongolia al culmine di una fuga precipitosa dalla Manciuria, dove egli viveva. Sarebbe senza dubbio morto per gli stenti e per la febbre se non avesse avuto la fortuna di svenire in un sentiero battuto dai monaci buddisti che lo soccorsero e lo portarono al loro convento, la lamaseria di Tuerin. Qui conobbe William Thompson, un onesto commerciante da tempo ospite dei monaci, che gli descrisse le meraviglie ed i segreti del convento. Probabilmente questi racconti stuzzicarono la fantasia e soprattutto la cupidigia di Spencer che, senza essersi del tutto ripreso, iniziò ad esplorare i dintorni del monastero alla ricerca di eventuali tesori nascosti.

Il libro "Non è terrestre" di Peter Kolosimo

Una mattina si imbatté in una scaletta di pietra con i gradini consumati dal tempo in fondo alla quale vi era una porta di metallo, incuriosito aprì la porta senza alcuna difficoltà e si trovò in una stanza poligonale composta da almeno dodici-tredici lati sulle cui pareti erano tracciati strani disegni. Spencer ne riconobbe uno che rappresentava la costellazione del toro e, quasi per gioco, ne seguì le linee con il dito e giunto all'estremità di una di esse, che in seguito Thompson riconobbe come il punto su cui erano incise le Pleiadi, la parete si aprì dolcemente senza alcun rumore. Spencer avanzò nell'oscurità e, quando ormai stava per tornare indietro a causa del buio pesto, intravide una strana luminescenza verde e decise di continuare. Si ritrovò a percorrere una galleria lunga e stretta piena di diramazioni e per evitare di perdersi decise di seguire sempre la destra ignorando che quella era proprio la direzione indicata dall'incisione che aveva visto: infatti le Pleiadi erano raffigurate proprio in alto a destra.
Il corridoio terminava in una sala dove la luce verde splendeva più forte e più cruda. Lungo una parete erano allineate circa 25-30 casse rettangolari che sembravano sospese a circa mezzo metro dal pavimento, l'avventuriero pensò che vi fossero dei supporti invisibili e notò subito che si trattava di bare. Iniziò subito a scoperchiare i sarcofaghi, che si aprivano con facilità, fregandosi le mani all'idea dei tesori che potevano essere stati sepolti insieme ai defunti.
Nei primi tre scoprì le salme di monaci vestiti come quelli che lo ospitavano, nella quarta una donna dagli abiti maschili, nella quinta un indiano con un mantello di seta rossa, nella sesta un uomo con un costume risalente, a suo avviso, almeno al 1700. Spencer si rese conto che le salme erano in perfetto stato di conservazione e che appartenevano ad epoche diverse, sempre più antiche man mano che si avvicinava al fondo della sala. Nella terz'ultima bara trovò un uomo avvolto in un lenzuolo bianco, nella penultima una donna della quale non seppe stabilire l'origine; Spencer era irritato poichè non vi era alcuna traccia dei tesori che egli sperava di trovare.
Quando però sollevò il coperchio dell'ultima bara rimase impietrito dallo stupore: in essa infatti giaceva un essere vestito da "una specie di maglia d'argento", al posto della testa aveva "una palla pure d'argento, con due buchi circolari al posto degli occhi ed una 'cosa' ovale, in rilievo, piena di piccoli fori, al posto del naso", inoltre era del tutto privo di bocca.
Fece per toccare quel corpo ma i grossi occhi tondi del morto si spalancarono emettendo un raccapricciante bagliore verde. Spencer fuggì urlando dalla sala e quando finalmente uscì nuovamente all'aperto ebbe un'altra sorpresa: sulla radura era calata la notte, mentre secondo lui non era rimasto nelle gallerie per più di due-tre ore. Tornato al tempio buddista raccontò tutto a Thompson che dopo averlo rimproverato riferì la storia ai monaci.

La lamaseria di Tuerin

Il giorno dopo Spencer fu chiamato da un lama che con benevolenza gli disse: "Mio povero amico, la febbre le ha giocato un brutto scherzo! Perché non ha atteso almeno d'essere guarito per visitare i nostri santi luoghi?" L'affabilità del monaco spinse l'avventuriero a chiedere spiegazioni su quello che aveva visto: il labirinto, la camera sepolcrale, il "cadavere senza bocca". Il lama scosse il capo: "Non esistono labirinti né cadaveri, laggiù. Venga con me, se si sente abbastanza in forze". Scesero insieme nella camera poligonale e, dopo che il monaco fece aprire una parete scorrendo le dita su di essa, seguirono un corridoio che dopo circa dieci minuti li portò ad una saletta occupata da una mensola simile ad un altare. Sulla mensola stavano allineate molte piccole bare, lunghe non più di 12-13 centimetri. Il lama le scoprì delicatamente una per una: contenevano figurine perfette, raffiguranti le creature rinvenute da Spencer. "Ecco quel che lei ha visto in realtà", sorrise il monaco. "Si tratta di persone che hanno arricchito la Terra con la loro grande sapienza, e alle quali noi rendiamo onore. È stata la febbre, mio povero amico, a farle credere di trovarsi davanti a veri sarcofaghi. E, come può osservare, non c'è nessuna luce verde, ma solo quella gialla delle nostre umili lampade". Spencer non poté trattenersi dal chiedere chi fosse il personaggio dalla testa rotonda. "Un grande maestro venuto dalle stelle", rispose il lama ed indicò alcune linee tracciate lungo la parete contro cui era posto l'altare: si trattava della costellazione del Toro ed ancora una volta lo sguardo dell'avventuriero si posava sulle Pleiadi.
Quando Spencer parlò nuovamente con Thompson gli disse che era convinto che la sua esperienza era stata reale ed il monaco aveva cercato di convincerlo del contrario mostrandogli una copia in scala ridotta di ciò che lui aveva visto. Aggiunse inoltre che avevano seguito una strada diversa dalla sua, lui infatti aveva aperto accidentalmente la lastra a sinistra della porta d'ingresso, mentre il monaco aveva aperto la lastra che era di fronte.
Una settimana dopo Spencer partì e di lui non si ebbero mai più notizie, Thompson invece tornò in patria e raccontò lo strano episodio, riportato dalla rivista Adventure, convinto che le asserzioni dell'avventuriero rispondevano a verità. "Ho avuto occasione di vedere io stesso, nei conventi mongoli, corpi conservati intatti da secoli, forse da millenni", aggiunse, "ed ho sentito parlare più volte degli 'uomini d'argento' giunti dalle stelle".
Kolosimo alla fine del racconto concludeva che "troppe sono le leggende intessute attorno alla lamaseria di Tuerin perché si possa prendere il racconto di Thompson per oro colato; esso contiene, tuttavia, molti elementi che aprono la porta a considerazioni certo fantastiche, ma non prive di curiosi riferimenti".
Quanto può esserci di vero in questa storia? Le considerazioni seguenti sono estrapolate da questo articolo in lingua inglese.
La lamaseria di Tuerin è effettivamente esistita ed è stata distrutta durante la dittatura comunista in Mongolia negli anni venti, infatti esiste un manoscritto con il disegno del monastero, i cui dettagli sono ampiamente confermati dalle foto originali del sito le cui rovine sono oggi una attrazione turistica, la foto seguente proviene sempre dalla stessa fonte.Per quanto riguarda i protagonisti della storia, l'avventuriero John Spencer ed il commerciante William Thompson, non si hanno riferimenti al di fuori di questa vicenda e questo è sorprendente soprattutto per John Spencer, trafficante di armi e stupefacenti, nonché falsario, che aveva dovuto abbandonare in fretta e furia la Manciuria a causa dei suoi misfatti e quindi potenzialmente poteva in qualche modo essere citato dai giornali locali dell'epoca; tuttavia questo non vuol dire che non siano effettivamente esistiti.
Se però si verifica la fonte principale della storia, la rivista Adventure, precisamente l'edizione del 30 aprile 1922, si scopre che si trattava di una rivista che pubblicava esclusivamente racconti, edita inizialmente dalla The Ridgway Co. (1910-1926), poi dalla Butterick Publishing (1926-1934) ed infine dalla Popular Publications (1934-1971) raggiunse il massimo della popolarità nei primi anni venti. Chiaramente non era un giornale di cronaca e tantomeno una testata giornalistica, per maggiori dettagli sulla rivista si può visitare questa pagina, l'immagine seguente invece è presa da questo indirizzo.

La rivista Adventure del 30 aprile 1922

Questo significa ovviamente che il racconto di John Spencer è falso ed anche, con tutta probabilità, che John Spencer e William Thompson non sono mai esistiti. Erano personaggi di fantasia in una storia di avventura, pensata per divertire ed appassionare e questo è anche il motivo per cui il racconto è ricco di dettagli, di conversazioni ma anche di pensieri dei protagonisti che ovviamente vanno bene per un racconto, ma stridono in quella che deve essere la testimonianza di un evento realmente accaduto.
In definitiva, mentre Kolosimo ha giustamente lasciato capire che la storia era poco più che una leggenda e l'ha utilizzata come pretesto fantastico per introdurre altre argomentazioni, tutti gli altri che invece hanno citato il suo lavoro come indizio della presenza di extraterrestri in antiche leggende, si sono ben guardati di fare una semplice verifica su quella che era stata indicata già nel lontano 1968 come la fonte principale del racconto.

22/10/14

Il presunto ziqqurat di Marte

Alcune foto scattate dalla sonda spaziale europea Mars Express nel 2004 mostrerebbero inequivocabilmente la presenza di strutture artificiali su Marte, più precisamente nella zona della Valle Marineris. Tra queste strutture la più notevole sarebbe quella che sembra essere uno ziqqurat, le antiche piramidi a gradini della civiltà sumera.
Se la notizia fosse confermata, si avrebbero le prove inconfutabili della vestigia di un'antichissima ed evoluta civiltà presente sul pianeta rosso.
Effettivamente osservando la foto si ha l’impressione di vedere uno ziqqurat con tanto di gradini e linee ortogonali, inoltre si osservano anche altre aree squadrate che lascerebbero pensare ai resti di strutture artificiali.
Peccato però che questa foto non rappresenti la realtà per il semplice motivo che si tratta di un modello tridimensionale costruito digitalmente partendo da rilievi altimetrici e stereoscopici. 
Quello che si vede nelle immagini è l'effetto che si ottiene sempre quando si effettua un rilievo altimetrico scandendo una superficie con il laser o attrezzature simili. 
Poiché la scansione avviene per linee parallele, quando si elaborano i dati inevitabilmente si formano degli “scalini” in corrispondenza delle variazioni di altitudine.
Pertanto l’oggetto che sembra una piramide a gradini non è altro che un artefatto di scansione, per molti versi analogo agli artefatti digitali visti nel caso della sonda Phobos 2 nel 1988. Lo stesso dicasi per le altre strutture squadrate che si intravedono.
Di seguito invece una vera foto della stessa porzione di superficie marziana dove sorgerebbe la struttura, per la precisione lo ziqqurat si dovrebbe trovare nell'angolo in basso a sinistra.

Non esiste alcun ziqqurat su Marte

Come si vede, non esiste alcuno ziqqurat o altra parvenza di struttura artificiale.

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